Spesso ho citato il "silenzio" come elemento critico della Religione Tradizionale Romana sia come componente di appositi esercizi spirituali sia nella sua più profonda veste simbolica anche quando accompagna alcune modalità di invocazione. Ho infatti ricordato che le invocazioni possono essere fatte a voce alta, mormorando (murmur) o in assoluto silenzio: queste diverse modalità esprimono diverse forme di contatto con il Divino. Allo stesso modo ho inoltre citato il silenzio in rapporto a Mens e Vox.
Nel senso più comune e profano, il "silenzio" corrisponde al "tacere" ovvero la sospensione della facoltà del parlare. Il "silenzio" in questo modo sembra contrapporsi esclusivamente a Vox ovvero all'articolazione e comunicazione del pensiero.
La Religione Tradizionale Romana ci fornisce una prospettiva più profonda e articolata per comprendere il valore ed il senso del silenzio. Come il silenzio profano implica la sospensione del parlare, il silenzio sacro implica la capacità di "non attivare il pensiero" ovvero fermare Mens in una condizione di puro stato di calmo riposo dello Spirito ripiegato in sè stesso. Si tratta in sostanza di conseguire uno stato di otium spirituale. Come allora il silenzio profano serve a fermare il "parlare istintivo senza ordine" allo stesso modo il silenzio sacro ferma il susseguirsi caotico dei pensieri: è il "silenzio interiore" o "pax profunda".
Raggiungere questo stato di silenzio profondo dipende dalla capacità individuale di concentrazione: si tratta di una forma di concentrazione che non ha nulla a che vedere con l'idea "comune" di concentrazione, un concetto che approfondirò in seguito.
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