"Io non sopporto tutta questa
feccia che è venuta ad affollare le rive del Tevere portando con sé lingua,
costumi, flautisti e corde oblique, parrucchieri, tamburi esotici e prostitute…
Tutta questa gentaccia viene all’assalto dell’Esquilino o del Viminale: prima
conquistano l’anima delle grandi case e poi ne diventano i padroni. Eccoli qui:
mente sveglia, audacia sfrontata, lingua pronta. Che credi chi siano? Ognuno di
loro ha dentro di sé un uomo tuttofare: grammatico, retore, geometra, pittore,
massaggiatore, augure, funambolo, medico, mago: tutto sa fare questo tipetto:
digli di volare e lui volerà.
Ed io non dovrei tenermi alla larga dai loro vestiti
eleganti? Devo sopportare che firmino prima di me nei contratti o che a tavola
abbia il posto migliore uno di costoro portato a Roma dallo stesso vento con le
prugne e con i fichi? Non conta proprio più niente che nella nostra infanzia
abbiamo respirato l’aria dell’Aventino e ci siamo nutriti di olive sabine?
Maledetti adulatori! Sono pronti a lodare il discorso del primo imbecille…
Anche noi Romani siamo capaci di simili cose, ma a loro la
gente crede. Sono proprio una nazione di commedianti… Insomma non siamo alla
pari: ha troppo vantaggio chi di giorno o di notte è capace di cambiare la
faccia secondo quella degli altri, sempre pronto a battere le mani per la
gioia o alzare grida di lode… Per di più per costoro non c’è nulla di sacro né
che possa dirsi al sicuro delle loro brame.
Non c’è più posto per un Romano quando c’è gente che per
vizio congenito non divide nulla con un amico, ma tiene tutto per sé".
(Decimo Giunio Giovenale)
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