Camminando da solo lungo una strada solitaria di campagna, mi capita spesso di abbandonarmi ad un sentimento improvviso di meraviglia. Osservo tutto ciò che mi circonda e mi appare come se lo vedessi per la prima volta: più che un modo nuovo di vedere il mondo e la realtà, ho la sensazione di venire in contatto con una "pluralità di mondi".
Penso che in questi momenti si superi la condizione di "abitudine" o di routine: è la forza delle abitudini che non ci fa più vedere le cose per quello che sono. Diamo tutto per scontato, per immutabile. Viviamo senza vivere, perché viviamo senza percepire.
Nella percezione si coglie l'attimo, si afferra l'istante: ci si colloca in una dimensione temporale dove non c'è passato e non c'è futuro. Nell'istante, si percepisce il "sentimento dell'esistenza". E nell'istante, privo dei pregiudizi del passato e delle preoccupazioni del futuro, si raggiunge una pace e una tranquillità interiore. Si comprende inoltre il particolare valore della nostra presenza nel mondo come una delle possibili ed innumerevoli manifestazioni dell'Essere: ogni istante della nostra esistenza ha un valore e deve essere vissuto come se fosse l'ultimo. Questo è il senso più profondo e più vero del concetto di carpe diem.
Percepire il mondo come se fosse l'ultima volta vuol dire percepire il mondo come se fosse la prima: tamquam spectator novus.
Poichè gli Dei e le Dee non si pregano, ma si percepiscono e si vivono come esperienza, in quel preciso momento, in quell'istante, gli Dei e le Dee ci vengono incontro.
Nessun commento:
Posta un commento