Una delle parole più importanti
della Religione Tradizionale Romana è certamente il verbo colo (inf. colere) da cui
deriva l’esspresione: Colere Deos/Deas.
Questa espressione sintetizza un particolare modo di sentire e di vivere, che è
ancora molto presente fra i Cultores
contemporanei, e descrive la caratteristica di colui/colei dotato di virtus e pietas.
Coltivare gli Dei/Dee è un’opera
che richiede un impegno personale costante ed una forza tranquilla: lo strumento
principale per alimentare questa forza tranquilla è la pratica della Virtus
che è il principio fondamentale per intraprendere la Via e mantenersi sul suo
percorso. Una disposizione adeguata dello spirito quindi, che si materializza
in riti, cerimoniali ma soprattutto in alcuni valori fondamentali. Innanzitutto
la Fides
che descrive la reciproca obbligazione religiosa e morale tra l'umanità
ed il Divino, e fra tutti gli uomini. La Fides si esprime nella lealtà, fedeltà, onestà
negli atti e nelle parole, nella vita pubblica e privata, nella reciproca
fiducia e sicurezza. Vi è poi la
Constantia ovvero assoluta
coerenza e saldezza di principi e propositi. Essa traspare nella quotidianità
per mezzo della fermezza e la perseveranza negli atteggiamenti. Quindi deve
essere segnalata la Gravitas ,
una forza tranquilla e sicura di coscienza del proprio valore morale. Si
manifesta nella dignitosa compostezza degli atti e delle parole.
E’ importante evidenziare che il
verbo colere descrive anche l’atto
della coltivazione della Terra, avere cura della coltivazione, seguendo le
leggi più intime della Natura. Coltivare la terra e coltivare gli Dei/Dee
esprime quindi un rapporto attivo di cura, di opera, di attività basato sulla
percezione di leggi immutabili della Natura e dell’Universo di cui fa parte
anche l’uomo e la donna, la famiglia, la comunità e lo Stato.
Coltivare le piante nel rispetto
delle leggi Naturali e coltivare gli Dei/Dee, come fa il buon contadino,
significa esercitare in primo luogo la
Virtù , una disciplina dello spirito, la pratica e l’esercizio
di un sapere antico che rimanda agli Antenati (mos maiorum). Riconoscendo la presenza del Divino nella Natura, nelle
piante e nella pratica della coltivazione e considerando l’agricoltura stessa
come dono divino, si riconosce un modo di “coltivare” la vita stessa.
Per questo motivo, come il buon
contadino, il Cultor, oggi come in
passato, compie tutti quegli atti destinati a vivere in armonia con quelle
forze ed energie che riempiono la realtà. “Coltivare gli Dei/Dee”, con gli
strumenti della Pietas e della Virtus, significa incamminarsi sulla Via
Romana diretta a conseguire la
Pax Deorum. Colere Deos/Deas e Colere Agros consentono quindi di realizzare un uomo e una donna
con salde radici nella propria terra e nel proprio spirito, nello Spazio e nel
Tempo.
Questo approccio spirituale spiega
ad esempio perché il lavoro agricolo debba essere considerato un'attività sacra perché è un rito rivelato dal Divino tramite un mito. Lo scopo
dell’agricoltura, così come della pratica religiosa, non è quello di ottenere qualcosa, nel senso profano del
termine, ma giungere al perfezionamento dell’essere umano perché si mira a nutrire il corpo e lo spirito come
entità che si fondono in ciascun individuo. Riallacciarsi agli Dei/Dee è quindi
anche sinonimo di riallacciarsi alla Natura, alle sue Energie, ai suoi tempi e
ai suoi ritmi: la vita diventa più semplice (sin-plex: senza piega), più “naturale” e quindi più frugale perché
la parte fisica e quella spirituale si ricongiungono in pace ed in armonia.
Colere Deos/Deas, Colere Agros quindi descrivono lo stesso
concetto: una modalità di approcciarsi al Divino che coincide con quello di
approcciarsi alla Terra e alla Natura sulla base, in entrambi i casi, del
“rispetto”, della percezione del “limite” ad indicare il nostro giusto posto
nell’ordine delle cose.
Non casualmente. da questo verbo
derivano quindi i termini cultura e cultus: sono proprio i termini cultus e Cultor che descrivono l’attenzione nei confronti dei segni e delle
voci che provengono dagli Dèi, in primo luogo come energie vivificanti la Realtà e la Natura , ma anche come
componenti intrinseche dell’essere civis
perno centrale della civica, della comunità e dello jus civile.
La percezione di questo flusso
vivificante trova molteplici espressioni divine che diventano espressioni
sacralizzate di un ritmo vivente, di segni, segnali e valori di una rete in
comunicazione continua che parla con un linguaggio biologico e fisico ma anche
meta-fisico.
Per questo il concetto di Colere Deos/Deas è oggi un principio
religioso di grande importanza perché significa anche tornare a capire il
linguaggio della Natura, del Mondo, dell’universo: vuol dire ricreare un
linguaggio che permetta di tornare a comunicare con la Terra.
Questo forte legame fra il
rendere onore alla Natura come espressione del rendere onore al Divino venne
spezzato con il cristianesimo: Agostino definisce la natura “massa diaboli et perditionis” e tale
concezione alla base della laicizzazione moderna della natura (1). Tale visione è
alla base della moderna de-sacralizzazione della Natura che viene vista solo
come oggetto, una massa disorganica di materia inerte, che può essere
manipolata dalla scienza e dalla tecnologia.
Senza il suo significato
religioso, lo stesso lavoro agricolo diventa profano, squallido e privo di
senso e lo stesso accade per tutte le attività umane che vengono svuotate di
questo contenuto sacro. Gli effetti di questa privazione li vediamo tutti i
giorni sia a livello ambientale che a livello della qualità della salute fisica
e psichica dell’umanità.
Coltivare gli Dei/Dee è quindi un
percorso di ricongiungimento, una Via, per tornare ad essere una cosa sola con
la realtà, la Terra ,
la Natura che
oggi appaiono totalmente separate da noi da un muro insormontabile solo
apparentemente risolto con l’illusione della scienza e della tecnologia. Quando
si torna ad essere parte della Natura, senza la pretesa di dominarla quindi
senza la pretesa di dominare gli Dei/Dee, allora la realtà e la Natura cessano di diventare
una fonte di ansia, di paura e di preoccupazione.
(1)
-->Sermonti G. (1982), “L’anima scientifica”,
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