La schiavitù è una delle caratteristiche più peculiari della società e dell'economia romana. Su questo aspetto però esistono grandi fraintendimenti e pregiudizi: la schiavitù nell'Antica Roma di fatto non aveva nulla in comune con il concetto di schivitù "moderna" come ad esempio quella diffusa negli Stati Uniti d'America.
La schiavitù antica non aveva alcuna connotazione "razziale" o nazionale (tutti concetti sconosciuti al civis romanvs) anche perchè l'idea di schiavo o di schiava si legava a principi molto più profondi ed esistenziali.
Bisogna partire dall'idea che nell'Antica Roma non si nasceva "uomo" o "donna": bisognava diventarlo e dimostrare di meritare di essere tali. Il bambino/la bambina di fatto rimanevano fuori dalla cerchia degli uomini/donne fintanto che non avessero superato una specifica fase di passaggio. Prima di questo passaggio il bambino o la bambina rimanevano degli "incapaci", dei "non-capaci" (nel senso più letterale del termine) e per questa ragione avrebbero avuto bisogno di qualcuno che potesse decidere per loro.
Allo stesso modo lo schiavo o la schiava erano tali perchè erano dei non-capaci anche se adulti. Anche se lo schiavo o la schiava erano comunque membri della familia e come tale non dovevano essere maltrattati o sadicamente oggetto di sevizie, non rientravano per questo nella dimensione degli uomini e delle donne: non possedevano una qualificazione di humanitas. Gli schiavi essendo privi di humanitas, non conoscono la magnanimitas, l'aeqvitas, la gravitas, la prvdentia. Non possono arrivare alla Virtvus.
In breve la schiavitù non è solo un attributo esteriore, ma è primariamente una qualificazione esistenziale interiore. La schiavitù è una condizione dello spirito. Si è quindi schiavi delle proprie pulsioni, delle proprie passioni: lo schiavo appare agli occhi di un uomo libero come un bambino capriccioso o come uno sciocco intrappolato in un groviglio caotico da cui non riesce a liberarsi.
Seneca ci fornisce una bella definizione di schiavo:
Sciet pro patria pugnandum esse, dissuadebit timor; sciet pro amicis
desudandum esse ad extremum usque sudorem, sed deliciae vetabunt; sciet
in uxore gravissimum esse genus iniuriae paelicem, sed illum libido in
contraria inpinget. (Seneca Epist. 95 Liber XV)
"Saprà che bisogna battersi per la patria, ma la paura lo distoglierà;
saprà che per gli amici bisogna sudare fino all'ultima goccia, ma glielo
vieteranno i piaceri; saprà che è un gravissimo affronto per la moglie
avere un amante, ma la lussuria lo spingerà ad agire contro virtù."
E' anche vero il detto dell'Imperatore Adriano secondo cui la schiavitù non scomparirà mai, cambierà solo di nome. Tutto questo evidenzia inoltre l'attualità di questo principio essenziale.
La libertà o la schiavitù non devono pertanto essere mai considerate come un qualcosa di "dato", ma, all'interno della Religione Tradizionale Romana, la vera libertà deve essere conquistata e coltivata quotidianamente grazie alla disciplina interiore, la Virtvs verso gli uomini e la Pietas verso gli Dei/Dee.
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