Quando in un bosco ne percepisci la bellezza e diventi tutt'uno con il bosco, allora, intuitivamente, sei in armonia e in pace con le Dee e con gli Dei. Essi sono parte della nostra vera natura, la nostra Natura Profonda, e quando siamo separati dalla nostra vera natura, viviamo nella paura. Percepire questa normalità vuol dire dare un senso reale al vivere che è insito in tutte le cose.

Intraprendere la Via Romana al Divino significa iniziare un percorso di risveglio: praticando l'attenzione e la consapevolezza continua ci incamminiamo lungo una strada sapendo che ciò che conta è il cammino per sè più che la destinazione.

When you, entering a forest, perceive the beauty of the forest and you feel to be in a complete harmony with it, then, intuitively, you are in peace with the Deities. They are an essential part of our real nature, our Deep Nature, and when we are separated by our real nature we live in the fear. Perceiving such normality means giving a real sense to our lives.

Undertaking the Roman Via to the Deities implies a path to awakening: with the practice of continuing consciousness and awareness we undertake our walking knowing that taking the path is more important than the destination itself
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lunedì 18 dicembre 2017

Murcia - Murkia: depressione

Vi sono alcune forze divine come Robiga (la Rossa: colei che corrode), Febris (la Febbre insieme a Tertiana e Quartiana) o Mala Fortuna che non sono semplicemente delle manifestazioni avverse della Natura (che in qualche modo devono essere placate). Sono stati che accompagnano l'esistenza stessa lungo il suo ciclo di nascita-vita-morte. Quando si parla di corrosione, di febbre o di fortuna avversa non ci si riferisce solo ad aspetti materiali o malattie del corpo: vi sono ripercussioni anche più profonde. Esiste anche una "ruggine" dell'anima, una "febbre" dell'anima",  un senso di avversità che si percepisce nell'animo. Per tale ragione è indispensabile sapere riconoscere queste forze per poterne mitigare gli effetti sul corpo e sull'animo.

Tra queste forze, una delle più temibili è certamente Murcia o Murkia (la pigra), una Dea dal Culto antichissimo, cui solo a nominarla, gli Antichi raccomandavano una certa prudenza. 

I profani identificano Murcia come la Dea della Pigrizia: in realtà questa Dea nasconde delle implicazioni molto più complesse e più profonde, ben note agli Antichi, che cercherò sinteticamente di riassumere di seguito. 

Murcia appare come un'ombra, una figura femminile sfocata coperta da un velo poichè confonde la mente. 

La pigrizia legata a Murcia viene definita come "aegritudo" ovvero una perturbazione dell'animo che spegne progressivamente la volontà a causa dell'afflizione dell'anima. Gli Antichi ritenevano infatti che come esistono malattie che colpiscono il corpo, allo stesso modo esistono malattie che colpiscono l'anima. In entrambi i casi è necessario identificare bene la natura del male per poter addivenire ad una cura, senza dimenticare che, poichè corpo e anima sono intimamente legati, le malattie dell'uno influiscono sull'altra e viceversa.

La Dea manifesta la sua presenza con uno stato di agitazione e di sofferenza causate da paura e afflizione dell'anima che, per loro natura, non obbediscono alla ragione. La ragione (Mens) è offuscata (il velo). La Dea porta ad una possessione che causa amentia (assenza di ragione) o dementia (perdita di ragione). Murcia causa quindi un ripiegamento dell'anima in sè stessa, una depressione, e questa contrazione spiega la natura femminile di questa forza ed il suo legame con Venere. 

Il conseguente turbamento conduce la persona ad essere insana ovvero "spezzata", non integra, non intera, non ha più il controllo. 

Gli Antichi ritenevano che Murcia facesse leva sulla innata sensibilità dell'anima che la rende vulnerabile all'afflizione e alla depressione. Cicerone riporta un'affermazione del filosofo Crantore:

"Non sono affatto d'accordo con coloro che riservano grandi lodi a codesta forma, non so come definire, di insensibilità che non può nè deve assolutamente esistere. Io mi auguro di non ammalarmi. Se però ciò mi succederà vorrei che mi rimanesse la sensibilità (...). Infatti questa insensibilità al dolore  non la si ottiene se non a un prezzo molto alto: disumanità dell'anima e torpore del corpo".

La sensibilità dell'anima è considerata quindi una qualità che però può essere colpita da patologie. Murcia suscita timore e paure in un animo molto sensibile causando tristezza, inquietudine, perdita di fiducia e di forza, abbattimento, angoscia, malessere, depressione: l'anima diventa pigra, "rallenta" e si spegne.  Murcia è quindi aegritudo che già nel nome contiene la nozione del dolore

Secondo la prospettiva tradizionale l'aegritudo di Murcia è una paura causata dall'opinione: ovvero l'idea della minaccia vera o presunta di un male incombente, l'opinione che sia un male tale "che sia giusto patirne" il conseguente dolore. Murcia porta a far credere che chi soffre della depressione patisca una sofferenza "indispensabile", necessaria. Il risultato è quello che noi oggi chiamiamo "infelicità": nella Tradizione però non si parla di "infelicità" (termine che tradizionalmente possiede tutt'altro significato non equiparabile a quello moderno) quanto semmai di "miseria" ovvero "privazione". L'uomo o la donna posseduto da Murcia ha l'animo lacerato e distrutto, è "insano/insana", mancante di qualcosa: la Dea priva di qualcosa.  

Essendo una vera e propria malattia dell'animo, gli Antichi ritenevano che l'aegritudo andasse combattuta con tutte le forze e con tutti i mezzi "se vogliamo trascorrere nella tranquillità e nella pace quel tanto di vita che ci è stato concesso" (Cicerone). A questo proposito venivano identificati dei "consolatori" o delle "consolatrici" (poichè la persona afflitta spesso da sola non era in grado di provvedere da sè) che avevano il compito di  placare la Dea Murcia ovvero eliminare la depressione, ridurla il più possibile, impedire che si aggravasse o si prolungasse nel tempo o di rivolgere l'attenzione della persona colpita verso altri pensieri. 

Placare Murcia implicava il ricorso a esercizi spirituali tratti dalla filosofia o dalla sapientia. In particolare si insegnava alla persona afflitta a sopportare la condizione umana,  a sopportare il dolore, a non lottare contro gli Dei o le Dee, citando buoni esempi, rimuovendo l'opinioni e le idee negative che spingono a ritenere che la sofferenza sia giusta e doverosa, con la pratica dell'otium e della meditazione. "A tutti i mezzi si deve ricorrere per dare sostegno a chi crolla e non riesce a mantenersi saldo per la gravità dell'afflizione" (Cicerone). Gli antichi ritenevano inoltre che il consolatore/consolatrice deve conoscere molti rimedi dato che "c'è chi è sensibile in un modo, chi in un altro": per questo devono saper scegliere non solo i rimedi più appropriati ma anche il momento più opportuno per non aggravare la situazione. 

"Ma quali sono le radici dell'afflizione, quante, e quanto amare! Una volta abbattuto il tronco, occorre strapparle tutte, anche con singole dissertazioni, se sarà necessario. (...) Ma la natura dell'afflizione è unica anche se i nomi sono molti. (...) Questi sono quei filamenti delle radici che devono essere ricercati ed estirpati tutti perchè nessuno possa mai più rivivere. Impresa seria e difficile: chi lo nega? Ma quale impresa illustre non è anche ardua? Ora però a ottenere questo risultato si è impegnata la filosofia e noi dobbiamo soloa ccettare il suo metodo di cura" (Cicerone)


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