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mercoledì 29 maggio 2019

Il vento del cambiamento


"Io non sopporto tutta questa feccia che è venuta ad affollare le rive del Tevere portando con sé lingua, costumi, flautisti e corde oblique, parrucchieri, tamburi esotici e prostitute… Tutta questa gentaccia viene all’assalto dell’Esquilino o del Viminale: prima conquistano l’anima delle grandi case e poi ne diventano i padroni. Eccoli qui: mente sveglia, audacia sfrontata, lingua pronta. Che credi chi siano? Ognuno di loro ha dentro di sé un uomo tuttofare: grammatico, retore, geometra, pittore, massaggiatore, augure, funambolo, medico, mago: tutto sa fare questo tipetto: digli di volare e lui volerà.

Ed io non dovrei tenermi alla larga dai loro vestiti eleganti? Devo sopportare che firmino prima di me nei contratti o che a tavola abbia il posto migliore uno di costoro portato a Roma dallo stesso vento con le prugne e con i fichi? Non conta proprio più niente che nella nostra infanzia abbiamo respirato l’aria dell’Aventino e ci siamo nutriti di olive sabine? Maledetti adulatori! Sono pronti a lodare il discorso del primo imbecille…

Anche noi Romani siamo capaci di simili cose, ma a loro la gente crede. Sono proprio una nazione di commedianti… Insomma non siamo alla pari: ha troppo vantaggio chi di giorno o di notte è capace di cambiare la faccia secondo quella degli altri, sempre pronto a battere le mani per la gioia o alzare grida di lode… Per di più per costoro non c’è nulla di sacro né che possa dirsi al sicuro delle loro brame.

Non c’è più posto per un Romano quando c’è gente che per vizio congenito non divide nulla con un amico, ma tiene tutto per sé".

(Decimo Giunio Giovenale)

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